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Il Carciofo Romanesco

Prodotto

Carciofo Romanesco del Lazio IGP, specie Cynara cardunculus var. scolymus (L.), famiglia delle asteracee, cultivar: Castellammare e relativi cloni, Campagnano e relativi cloni.

Assaggio

Sapore erbaceo e leggermente amarognolo.

Caratteristiche

Il Carciofo Romanesco, definito “re dell’orto” è il fiore all’occhiello del territorio romano e della sua cucina; infatti, grazie alle ottime qualità commerciali (grossezza ed assenza di spine) e caratteristiche organolettiche è stato il primo prodotto agricolo romano ad essere tutelato a livello comunitario con la designazione di IGP, Indicazione Geografica Protetta.
Ingrediente fondamentale della dieta mediterranea, grazie alle grande versatilità in cucina, ha fatto divenire gli italiani i maggiori consumatori al mondo di carciofi con 8 kg/pro capite per anno.
Sicuramente i fattori climatici, naturali e podologici, del territorio romano sono stati determinanti nell’attribuire al Carciofo Romanesco del Lazio IGP le sue particolari caratteristiche, alla formazione delle quali contribuiscono anche fattori umani e tecniche tradizionali locali.
Il termine deriva dall’arabo al-karshuf che significa “spina di terra” e “pianta che punge” da cui l’attuale termine carciofo, mentre l’appellativo romanesco ne rappresenta l’appartenenza alla gastronomia romana.
Pianta spinosa, simile al cardo, da cui sarebbe derivata per mutazione, è costituita da fiori non completamente dischiusi, può essere di diversa varietà a seconda della presenza e sviluppo delle spine, in base al colore del capolino violetto o verde e a seconda dell’epoca di fioritura.
Dal punto di vista botanico il carciofo è un’infiorescenza a capolino, le brattee, cioè le squame compatte che formano il capolino possono avere spine oppure no.
La pianta può essere alta fino a 1,5 metri provvista di un rizoma sotterraneo dalle cui gemme si sviluppano in altezza più fusti, che all’epoca della fioritura crescono ramificandosi.
Il fusto è robusto, cilindrico e carnoso,, striato longitudinalmente. Le foglie sono grandi, i fiori riuniti in un capolino sono di colore azzurro-violaceo, la parte edule è rappresentata dalla base delle brattee e dal ricettacolo, quest’ultimo comunemente chiamato cuore.
La cultivar Castellammare ha foglia verde scuro, brattee esterne verde con sfumature violette.
La cultivar Campagnano ha foglia verde cinerino, brattee esterne con sfumature violette.

 

Come si ottiene

Lavorazione principale: ad una profondità di 50 – 60 cm con aratura rippatura seguita da una lavorazione superficiale; tale operazione deve essere preceduta dalla distribuzione dei concimi fosfo-potassici ed eventualmente del fertilizzante organico.
Data di impianto: da agosto a ottobre.
Distanza di impianto minima e massima da adottare: m 1 – 1,60 tra le file, m. 0,80 – 1,20 sulla fila.
Analisi del terreno: obbligatorie per nuovi impianti.
Al fine di anticipare il risveglio vegetativo, si possono effettuare interventi irrigui a partire da agosto. A fine inverno sono consentiti interventi di soccorso solo in concomitanza di condizioni climatiche particolarmente asciutte. In generale, sono sufficienti dai tre ai cinque interventi irrigui di 300 – 350 mc/ha/turno.
La dicioccatura può essere manuale meccanica.
Al fine di reintegrare la sostanza organica nel terreno è obbligatorio lasciare i residui colturali sul terreno previo sminuzzamento e interramento.
Le piante infette da patogeni (verticillium spp., fusarium e nemotodi galligeni) devono essere accuratamente allontanate dal campo e bruciate.
La scarducciatura si effettua solitamente tra la seconda e la terza decade di settembre e tra novembre e dicembre.
Per il “Carciofo Romanesco del Lazio” viene allevato un solo carduccio per pianta. Sono vietati i trattamenti con fitoregolatori.
La raccolta si effettua a mano, scalarmente e con modalità diversa in relazione al tipo di presentazione al mercato.
L’epoca di raccolta inizia in gennaio e potrà protrarsi fino a maggio.
La permanenza della carciofaia in campo non deve superare i quattro anni, si dovrà inoltre effettuare un avvicendamento triennale.
Il “Carciofo Romanesco del Lazio” ad indicazione geografica protetta, all’atto dell’immissione al consumo fresco deve rispondere alle seguenti caratteristiche:

  • diametro dei cimaroli non inferiore a centimetri dieci;
  • diametro dei capolini di primo e secondo ordine non inferiore a centimetri sette;
  • colore da verde a violetto;
  • forma di tipo sferico.

Le altre caratteristiche qualitative del prodotto devono rispondere alle “Norme di qualità” previste dal regolamento CEE e successive modificazioni ed integrazioni, con l’esclusione della categoria “2” prevista dalle stesse norme di qualità.
Per il consumo locale tradizionale è consentita, esclusivamente all’interno della regione Lazio, la vendita dei cimaroli del “Carciofo Romanesco del Lazio” in mazzi da dieci, provvisti di foglie e con gambo anche superiore ai 10 cm di lunghezza (regolamento CEE n. 448/97 e successive modifiche ed integrazioni), oppure in mazzi di numero non definito a forma di pigna e senza foglie.

 

La storia

Il carciofo era già conosciuto dai greci e dai romani, ma sicuramente si trattava di una varietà selvatica.
La mitologia greca narra la nascita del carciofo attraverso la leggenda di Cynara, una ninfa bellissima cara a Zeus. Tanto bella quanto volubile e capricciosa la giovane fece invaghire di sé Zeus che geloso la trasformò in ortaggio verde, spinoso ma dal cuore tenero; il colore verde ricorderebbe gli occhi di Cynara mentre le sue spine le tante pene che Zeus patì per gelosia.
Dal mito alla storia, il carciofo è una pianta originaria dei paesi del Mediterraneo orientale, dalle origini antichissime: si pensa si consumasse comunemente già al tempo dell’antica civiltà egizia.
Plinio il Vecchio (23 d.c.-79 d.c.) fu il primo autore a decantare le virtù del carciofo e a documentarne l’uso nella cucina romana.
Tuttavia, secondo il botanico Giuliano Montellucci (1899-1983), è da attribuire agli Etruschi l’opera di addomesticamento della coltivazione di questo ortaggio, tanto che raffigurazioni parietali di foglie di carciofo in alcune tombe della necropoli etrusca a Tarquinia ne fanno ipotizzare l’origine in tale periodo.
Nel Lazio il carciofo per eccellenza è uno solo: il Carciofo Romanesco detto anche mammola cimarolo.
La diffusione della sua coltivazione nella regione gli ha permesso di occupare rapidamente, fin dal tardo Rinascimento, un posto di assoluto prestigio nella gastronomia laziale.
Sembra che i mercati di Roma fecero la conoscenza del Carciofo Romanesco dopo la prima Guerra Mondiale. Già dal 1930, infatti, sono attestate le coltivazioni di due qualità del Carciofo Romanesco del Lazio: il Castellammare, molto precoce, e il Campagnano, che matura tardivamente ma che si presenta meglio perché più chiuso e colorito.
Ma è solo dopo gli anni ‘40 e ‘50 che il carciofo cominciò a diffondersi grazie ad un sistema di coltivazione intensiva, soprattutto nell’area di Ladispoli e zone limitrofe particolarmente vocate. E proprio a Ladispoli, nell’immediato dopoguerra, la Proloco cominciò a promuovere e divulgare le qualità e le virtù terapeutiche di questo ortaggio, ideando nel 1950 la “Sagra del Carciofo”, che si festeggia da oltre mezzo secolo.
Il prodotto Carciofo Romanesco del Lazio ha ottenuto l’Indicazione Geografica Protetta nel 2002.
(Fonte:progetto Orienta, quaderno tecnico: CARCIOFO ROMANESCO IGP a cura della CCIAA di Roma).

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